lunedì 7 aprile 2008

INTERVISTA A ALEX DE LA IGLESIA

Oxford Murders è un film molto diverso rispetto ai precedenti in cui ci aveva abituato ad una atmosfera grottesca. Invece questa pellicola contiene poco humor nero ed in generale c’è poco spazio per la commedia. Qual è il motivo di un cambiamento così radicale?

Alex De la Iglesia - Il motivo è semplice. La sceneggiatura stavolta è tratta da un libro, cioè dal lavoro di un’altra persona, ovvero Guillermo Martinez. In genere le scrivevo da me o con Jorge Guerricaechevarrìa, ed erano sceneggiature originali. Non avrebbe avuto senso trasformare un romanzo giallo in una commedia o forzarci all’interno la cattiveria ed il cinismo che metto generalmente nelle mie opere. Ho voluto rispettare l’atmosfera dell'opera originaria che volevo portare sullo schermo e quindi ho rinunciato a metterci troppo di mio. Comunque non mi piace il termine humor nero perché lo humor è sempre nero, in quanto si basa sulla vita, che è essa stessa nera. Questa non è mia,l’ho rubata a Rafael Azcona.

Cos’è che vi ha colpito in particolare del romanzo di Guillermo Martinez tanto da decidere di farne un film?

Alex De la Iglesia - L’intrigo che c’è dietro i tradimenti e gli l'inganni. La manipolazione della verità e l'identità ambigua dei personaggio, aspetti ricorrenti nel mio cinema. Il professore conosce solo una piccola parte della realtà e il giovane matematico arriva in luogo dove non riesce a farsi accettare. Mi incuriosiva particolarmente l'aspetto ludico, il fatto che nessuno dei personaggi è mai completamente sincero e fa finta di essere qualcun’altro.

Jorge Guerricaechevarrìa – Anche se non si può definire una commedia tout court ma è essenzialmente un mistery, la storia è comunque grottesca, ambigua, misteriosa. A sommatoria di intrighi e misteri è sempre affascinante, soprattutto per la maniera in cui si affronta l’argomento come un gioco di ruolo in cui si deve scoprire l’ assassino.

E’ interessante l'uso massiccio e complesso di piani sequenza che fa nel film. Da cosa deriva questa scelta tecnica?

Alex De la Iglesia - L’idea iniziale era diversa. Volevo realizzare un piano sequenza diverso . Volevo iniziarlo dall'alto, da un elicottero, per poter mostrare Oxford come se fosse un gioco da tavolo, come una scacchiera. Un regista usa i trucchi che conosce per avvincere gli spettatori. Lo spettatore di Oxford Murders partecipa al gioco e vede i personaggi muoversi come in una partita a scacchi. Purtroppo non ho potuto fare quello che volevo. Quando fai cinema chiedi tanto , ti promettono poco e alla fine ti danno ancora meno. Nel momento in cui ho proposto l’idea al direttore della fotografia mi ha preso per pazzo e che era impossibile. Mi sono messo a piangere, e Elija Wood ha avuto pietà di me. Ha detto "facciamo contento il ciccione” e alla fine abbiamo fatto otto inquadrature che sono state unite con un trucco.

Al contrario del tipo di thriller che escono oggi, tu stai facendo un percorso che ti porta a rispolverare la maniera più classica di creare suspance nei tuo film. Come mai ?

Alex De la Iglesia - Amo il thriller perchè sono lo specchio di come va il mondo, danno la visione più grottesca e realistica della vita. Un film poi è un universo a sé stante, che si può raccontare in molte maniere diverse. Si può parlare di qualsiasi cosa senza dover temere di sporcarsi con la realtà, perchè la verità assoluta non esiste o se esiste noi non la conosciamo. Il thriller è come il western, un genere in cui si può spaziare immaginare qualsiasi cosa perché non hai un riscontro relativo nella vita quotidiana con cui relazionarti. Sono due generi di fantasia, che ti permettono di lavorare sui simbolismi della realtà.

Jorge Guerricaechevarrìa – Visto che in giro ci sono tutte queste serie tv e film violentissimi, abbiamo voluto fare un film del mistero netto e pulito, mostrando gli aspetti più interessanti e concreti dei delitti senza per forza mostrarne la crudezza. Ogni effetto storico ha le sue conseguenze imprevedibili, e questo è molto affascinante.

Nel film si parla a lungo del trattato filosofico di Wittgenstein, che conoscenza ha del libro e che influenzato ha avuto su di te?

Alex De la Iglesia - Dunque, io ho studiato filosofia all’università. All’epoca mi sono fatto spiegare il Tractatus logico-philosophicus di Wittgenstein da un compagno di università e avrò capito giusto l'inizio e la fine. Mi ha colpito in particolare la frase”Tutto ciò che si può dire lo si può dire chiaramente. Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere”. Invece io ho fatto tutto il contrario, ovvero mi metto in mezzo a cose che non sono capace di fare. Questo mette nei miei film una qualche innocenza che li rende imperfetti ma sempre positivi. Di Wittgenstein comunque non ho capito niente. Mi ricordo la prima frase "Il mondo è ciò che avviene” e ancora sto cercando di capire che significa. Sono così superbo da voler lo stesso fare un film su una cosa che non ho capito.

Jorge Guerricaechevarrìa – Wittgenstein ossessionava, soprattutto ossessionava Alex e lo abbiamo inserirlo nel film anche se nel romanzo non c’era. Era un tipo assurdo, ha scritto la sua opera magna durante la guerra. Nemmeno le bombe lo fermavano. Pensate che per un anno ha fatto il college insieme ad Hitler. Abbiamo una sceneggiatura pronta su questa storia. Se c’è qualcuno che ce la vuole produrre siamo disponibilissimi.


Quindi secondo te, Alex, non può esistere una verità assoluta?

Alex De la Iglesia - Non lo so, e non saprei nemmeno dove cercarla. Faccio già fatica a capire come far finire i miei film. Soprattutto nella terza parte del film ho dei problemi. Secondo me la verità c’è ma ce la siamo fatta scappare.


Il concetto è simile a quello espresso da Orson Welles in Quarto Potere. Si è per caso ispirato a lui?

Alex De la Iglesia - Quarto Potere è stato la croce e la delizia di Orson Welles. E’ riuscito a fare un film perfetto, come l’equivalente cinematografico de la Repubblica di Platone, con una troupe perfetta. E’ l’espressione massima di Hollywood. Dopo aver fatto Quarto potere la sua carriera è andata in involuzione. Non ha fatto altro che ripetersi, imitarsi, viveva nel ricordo del film più grande di tutti i tempi. Noi cineasti di oggi non facciamo altro che questo. Ricordare. Non facciamo che ripetere a pappagallo tutto quello che già è stato fatto dai grandissimi nella prima metà del Novecento, quando le regole del cinema sono state scritte. Adesso è tutto un flusso che segue quelle idee.

A cura di Gianluigi Perrone